Racconti – La Grande Vincita

La sua unghia grattava nervosamente il biglietto scoprendo uno ad uno i numeri nascosti. Appena ne intravedeva uno sfortunato, passava immediatamente a grattare il successivo senza nemmeno finire di scoprirlo completamente. La vernice grigia che ricopriva i numeri si infilava sotto l’unghia dandogli una sensazione di fastidio, di sporcizia; quasi un purgatorio necessario prima dell’approdo in paradiso, se mai fosse arrivato. Nel momento dell’acquisto del biglietto sognava il giorno in cui avrebbe incassato il malloppo e iniziato una nuova vita nel lusso e nell’agio. Tuttavia, quando iniziava a grattare i numeri era sicuro che già il primo, oppure il secondo, al massimo il terzo, avrebbero infranto il sogno. In quel momento la speranza era già svanita, anzi era diventata fastidio del dovere grattare comunque gli altri numeri perdenti, per vincere magari un misero premio di consolazione. Già pensava all’acquisto del biglietto successivo, e così via in questo infinito gioco dell’oca. L’oca era lui, e lo stato colui che piano piano la spennava.
Per vincere bisognava indovinare dieci numeri su dieci, praticamente una combinazione impossibile. Quale astronauta abbandonerebbe mai la terra per andare in cerca di una stella diversa dalle altre nell’universo? Quale beduino partirebbe senz’acqua affrontando il deserto intero alla ricerca di quel granello di sabbia che trasformerebbe il sole in pioggia? Quale marinaio nuoterebbe attraverso gli oceani alla ricerca dell’unica conchiglia con l’elisir di lunga vita? Nessuno, anche se il riuscire in tali imprese sarebbe di sicuro più probabile del vincere alla lotteria. “Se non ci provi, di sicuro non vinci” era lo slogan. Molto curiosamente era scelto sia da chi organizzava il gioco sia da chi ci giocava. Come se il padrone e lo schiavo inneggiassero allo stesso motto.
Più perdeva, e più spendeva soldi inseguendo la fortuna, più era convinto che non poteva abbandonare. Anche se senza speranza, doveva continuare a percorrere quell’autostrada verso il nulla, per dare un senso ed una coerenza al gesto quotidiano di acquistare e grattare i biglietti.
Poi, un giorno, un lampo illuminò l’oscurità. Su un biglietto come un altro, i primi cinque numeri scoperti erano tutti vincenti. Cinque su numeri su cinque, non gli era mai capitato prima. Si fermò un attimo, e prima di continuare pulii bene i primi numeri, come per dargli la giusta importanza, qualora fossero stati il preludio della vittoria. Sentiva che il grande giorno era arrivato, anche se era ancora prestissimo per dirlo. Con ogni probabilità il sesto numero avrebbe rotto l’incantesimo. Lo grattò con curiosità, e lo scoprii vincente. Ora ne mancavano soltanto quattro. Una certa fibrillazione lo pervase quando anche il settimo numero si rivelò azzeccato.
Si guardò in giro nella stanza di casa sua, come per controllare che tutto fosse a posto. Stava succedendo davvero? Iniziava a gioire, ormai mancavano solo tre numeri. Una possibilità su mille, che ora sembrava la cosa più facile del mondo. Talmente facile che anche l’ottavo e il nono numero non tradirono le attese. La grande vincita era ormai prossima. Non stava più nella pelle, e le mani gli tremavano come foglie. Quell’unghia sporca di vernice era ora lo strumento verso la libertà, la fine della schiavitù dal lavoro inappagante, l’inizio della sua rivincita sul mondo, ingrato fino a quel giorno. Avrebbe voluto chiamare gli amici, telefonare a qualcuno per invitarlo a scoprire con lui l’ultimo numero, e condividere quella gioia estrema che l’avrebbe colto. Avrebbero poi festeggiato nel miglior ristorante della città. Già, ma chi avrebbe potuto chiamare? Ci ragionò su un attimo, e qualche dubbio iniziò ad emergere. L’amico operaio con tre figli a carico e il conto in rosso? Come avrebbe potuto gestire poi la situazione? Gli avrebbe pagato tutti i debiti e dato una parte della sua enorme fortuna? Sì, certo. Forse. E con tutti gli altri amici poi? Come avrebbe potuto fare finta di nulla? Impossibile. Come avrebbe potuto non dare nell’occhio comprando una villa e una macchina lussuosa? Forse avrebbe dovuto cambiare città, rifarsi una vita con nuovi amici ricchi come lui? Ma dove, come? Con chi sarebbe andato allo stadio la domenica a seguire la partita? Forse di quegli eroi che corrono dietro ad una palla non gliene sarebbe neanche più interessato; sarebbe stato lui il protagonista. Ma per chi? Con chi avrebbe condiviso le gioie della ricchezza? E prima di tutto, come avrebbe fatto ad incassare tutti quei soldi al riparo da sciacalli, criminali, mafiosi in cerca di un pizzo? Dove li avrebbe messi, come li avrebbe investiti? Li avrebbe lasciati nascosti in una banca, per aspettare il momento giusto? Avrebbe fatto per un po’ una vita normale prelevandone pochi e continuando a vivere nella casa modesta e andando al lavoro? Li avrebbe custoditi sotto il materasso? E se poi la casa fossa andata in fiamme, o i soldi andati rubati durante un furto? Sarebbe rimasto squattrinato e senza più lavoro? Li avrebbe affidati ad un esperto che li avrebbe fatti rendere al meglio? Già, ma di chi si sarebbe potuto fidare per una cosa così grande?
Quante iene, vestite da persone amiche, se lo sarebbero ingraziati per interessi, aspettando il giorno della sua morte per buttarsi sulla preda e sull’eredità?
Mille domande senza risposta ribollivano nella sua mente. Da una parte la gioia incontenibile della ricchezza, dall’altra la consapevolezza di non essere pronto per tutto ciò, di non essere in grado di rivoltare la propria vita abbandonando le sicurezze e gli equilibri costruiti nella giovinezza e negli anni di lavoro. Lasciò il biglietto con quell’ultimo numero da grattare sul tavolo. Si sedette sul letto a cercare di radunare le idee. Cercò di calmarsi, di proiettare nella sua mente possibili scenari di come avrebbe condotto la sua esistenza da nababbo. Trovava mille possibili soluzioni, una più brillante dell’altra, ma nessuna priva di insidie e pericoli.
Forse, era meglio se quell’illusione fosse svanita. Avrebbe raccontato il tutto agli amici dietro ad un bicchiere di vino rosso all’osteria la sera stessa, e avrebbe discusso con loro chiedendogli di ragionare su cosa avrebbero fatto in caso di vincita così. Loro, dandogli un buffetto sulla spalla, lo avrebbero scherzato chiedendogli: “Hai avuto davvero paura del potere vincere? Dai, sii serio!”. Lui avrebbe sorriso come per dargli ragione, ben conscio che invece la sua non era stata solo paura, ma terrore vero e proprio. Intanto il biglietto giaceva sempre lì sul tavolo. Prima o poi andava grattato anche quell’ultimo cerchiolino di vernice che avrebbe decretato la fortuna o la disfatta. Già, ma a questo punto cosa sarebbe stata fortuna e cosa disfatta?
Lui era sicuro che l’ultimo numero avrebbe decretato la vincita, e l’ansia dell’attesa cresceva continuamente. Dopotutto, seppure di stenti, la sua vita non era così brutta, perchè dovere cambiare tutto proprio ora? In quel momento si rese conto dell’importanza dei suoi parenti e amici, di quella casa tanto sudata e della quale stava finendo di pagare il mutuo. Pensandoci bene, era stato bravo ad arrivare fino a lì con le proprie forze. Ora, se avesse vinto, tutti quegli sforzi in qualche modo sarebbero stati vani, inutili. Tanto valeva non avere fatto nulla aspettando il giorno della vincita.
Dopo ore ed ore chiuso nella sua stanza a torturasi di domande e risposte, era ormai chiaro quale sarebbe stata la sua fortuna maggiore. Andò verso il tavolo con passo titubante, per scoprire l’ultimo numero.
Una possibilità su dieci, cioè il novanta per cento di probabilità di non vincere. Iniziò a grattare piano piano dall’alto, sperando di intravedere subito la forma di un numero perdente, ma il destino era già stato scritto e stava per fare il suo corso. Dieci numeri su dieci, la combinazione impossibile era capitata in mano sua. “Perchè proprio a me?”, pensò. In quel momento, tutte le domande alle quali aveva cercato di dare risposta tornarono a turbinare come un uragano nella sua testa. Non riusciva a gioire. Aveva in mano la fortuna che milioni e milioni di persone sognano tutti i giorni, ma quella fortuna era come una montagna da dovere sorreggere con la sola forza delle proprie braccia.
In uno stato confusionale, pensò che come prima cosa doveva andare alla tabaccheria e chiedere cosa doveva fare. Era un passo necessario. Provava già paura verso quell’omone dallo sguardo di ghiaccio che vendeva i biglietti.
Lui sarebbe stato il primo a saperlo, e chissà quali strani pensieri lo avrebbero preso.
Dopo di lui, uno ad uno sarebbero arrivati tutti gli altri.
Con il biglietto in mano si incamminò verso la porta. Mentre infilava la chiave nella serratura cercò di scacciare via tutti quei fantasmi. Ma il primo di loro era già sull’uscio ad aspettarlo.