Racconti – La Partita

Lo stadio è gremito fino all’ultimo posto. Quella di oggi non è una partita qualunque. Ci si gioca l’accesso alla finale europea. E’ la semifinale principale, che con ogni probabilità decreterà il vincitore della coppa. La squadra di casa deve assolutamente vincere per volare a Londra e provare a conquistare il torneo più importante. I tifosi attendono quella vittoria da oltre dieci anni.
Piove a dirotto, ma i fans sono arrivati da ogni angolo del paese per supportare la propria squadra. Hanno sfidato il freddo, il brutto tempo, il mal di gola. Ne sono orgogliosi. Stringono la sciarpa intorno al collo e urlano i cori per incitare i loro idoli.
Sono sicuri che quest’anno sia quello buono, che la loro squadra sia pronta per vincere, e tutto sembra andare proprio in quella direzione.
La partita di andata, in trasferta, è finita zero a zero. Basta un goal per qualificarsi. L’arbitro fischia l’inizio dell’incontro. Un brivido d’emozione rimbalza sugli spalti tra decine di migliaia di tifosi. Qualcuno urla, qualcuno abbraccia i suoi amici, qualcuno osserva in silenzio, facendo gesti scaramantici, qualcuno chiude gli occhi quando gli avversari si fanno pericolosi vicino alla propria porta.
La partita è subito intensa, come ci si aspetta, come sono tutte le grandi partite. I giocatori appaiono come gladiatori che combattono nell’arena. I fans non sono da meno, e continuano a urlare, insensibili alla pioggia e alle folate di vento che pizzicano la gola. Arriveranno a casa distrutti, malati, ma non importa, non è il momento di pensarci ora, nel pieno di questa ondata di emozioni.
Dopo circa mezz’ora di studio, la partita entra nel vivo e arriva la prima vera azione importante. L’ala destra s’invola sulla fascia, lascia sul posto due difensori e serve l’assist per l’attaccante che tutti aspettano. E’ il capocannoniere del campionato, uno di quelli che non sbaglia mai i palloni importanti. Stacca dieci centimetri più alto del difensore, e sul cross perfetto del suo compagno colpisce con piena potenza schiacciando il pallone verso il basso. Il portiere avversario non può fare nulla. La palla gonfia la rete.
C’è un secondo di silenzio, il tempo che i tifosi si rendano conto che sta succedendo davvero quello che aspettavano da anni. Lo stadio esplode di gioia. I tifosi saltano, si abbracciano, alzano le mani al cielo, agitano bandiere e sciarpe. Dalla curva si accendono fumogeni. Le trombe squillano vittoria. I cronisti nelle loro postazioni urlano “goal” a ripetizione. Ci sono milioni di persone che non sono lì in persona, ma ugualmente in fibrillazione nel salotto di casa, incollati davanti ai loro schermi, che partecipano con la stessa emozione trepidando sul divano, oppure al tavolo di un bar davanti al megaschermo.
Finisce il primo tempo. Si rilascia un attimo la tensione. L’intervallo sono quindici minuti di pura gioia e spensieratezza. La preoccupazione per il secondo tempo è abbondantemente vinta dall’ottimismo.
Quando le squadre tornano sul campo lo stadio s’infiamma ancora di più. I cori di vittoria si levano dalle gradinate incorniciati da bandiere, striscioni e fuochi d’artificio. L’urlo sale altissimo, e così continuerà fino alla fine.
Gli avversari sono indomiti, e provano una reazione. Se dovessero pareggiare, in virtù del goal in trasferta, passerebbero loro. Non sono certo l’ultima squadra arrivata. Si sono presentati qui con tutto il loro blasone, supportati da un gruppo di tifosi che cercano di fare sentire il loro incitamento, ma è come lottare contro un gigante che ti ha messo un piede sul collo. La partita prosegue, i tifosi vorrebbero la seconda rete, che porrebbe fine ai patemi d’animo ogni volta che gli avversari provano un tiro verso la loro porta.
Mancano ormai pochi minuti, le ultime sofferenze prima dei festeggiamenti. Si farà nottata, per una volta incuranti della routine di tutti i giorni che aspetta l’indomani.
Gli avversari hanno ancora energie da spendere, ma non sembrano in grado di battere a rete. Guadagnano una punizione nella metà campo avversaria, anche se piuttosto lontana dall’area di rigore. La barriera si erge nutrita a protezione della propria porta. Il portiere ne aggiusta la posizione, poi si piazza sull’altro lato. Batte e sfrega le mani per prepararsi a parare. Osserva con occhi di ghiaccio. Il tiratore alza per un attimo lo sguardo, poi abbassa la testa a si appresta a prendere la rincorsa.
Nello stadio, per un attimo, cala il silenzio. Bisogna aspettare la conclusione, che probabilmente finirà sulla barriera, oppure a lato della porta, prima di potere riprendere a festeggiare. Da quella distanza è molto difficile segnare un goal. L’attaccante fa partire il suo destro a girare, che supera la barriera e si avvia verso l’angolo dove è ben piazzato il portiere. Questi si tuffa, le mani si allungano verso il pallone. I cronisti stanno per urlare “parato!”, quando le dita all’improvviso si piegano sotto la forza del tiro. Il pallone riesce a farsi un varco tra le mani dell’ultimo difensore, che ne rallentano soltanto la corsa, senza impedire che questo s’insacchi nell’angolo sinistro della porta.
Il portiere è battuto. Si gira, raccoglie il pallone, guarda timidamente verso il pubblico. Il suo sguardo non è più di ghiaccio. Calcia via il pallone verso il centro del campo e si appoggia al palo, come fosse la gogna pubblica.
Sugli spalti ora non vola più una mosca. I cori rimangono strozzati in gola ai tifosi, le bandiere si fermano, i fumogeni si spengono. Ottantamila persone che osservano la scena nella più totale incredulità. Le lacrime si mischiano alla pioggia, che penetra freddissima a gelare le anime.
Non c’è una seconda chance, non c’è più tempo per reagire, per ritrovare le forze per un goal che scacci l’incubo improvvisamente entrato nel mezzo del bel sogno.
L’arbitro fischia tre volte, con un fischietto tremolante, stridulo, fastidioso. E’ finita. Le trombe non suoneranno più inni di vittoria. Non si farà più festa, nessuna la nottata di festeggiamenti. I tifosi escono dallo stadio lentamente, colti da improvviso mutismo. Si avviano verso le loro auto sotto la pioggerellina gelida, in preda allo sconforto, cercando di smaltire il sogno infranto.
In fondo alla disperazione trovano comunque un motivo d’orgoglio, per averci creduto fino in fondo, per essersi comunque presentati lì, senza tradire la propria squadra. Le emozioni provate sono state vere, intense. E’ stata una bella battaglia. Pensano a come si sentirà il portiere, non riuscito a trattenere un tiro tutto sommato facile. Lui sarà davvero a pezzi, con la responsabilità della stagione intera finita male, di migliaia di fans delusi.
In realtà, lui ha fatto solo il suo dovere. Era perfettamente sulla traiettoria di quel pallone. Lo avrebbe potuto parare con una mano sola, ma l’ha lasciato scivolare attraverso le sue dita. Ha venduto il goal. Ha venduto i sogni, le speranze e le emozioni dei tifosi. Ha venduto la partita. Era truccata.